Rischi e cavità artificiali

Febbraio 1, 2021 Off Di Archeologia del sottosuolo

Sul tema “rischi” ho già scritto parecchio, in passato. Ma, come si suole dire, … repetita iuvant.

  1. Regola prima: mai rischiare.

I rischi derivanti dall’attività in cavità artificiali sono molteplici, ma non frequenti. Prevalentemente sono legati a determinati tipi di cavità e alla loro morfologia. Le tipologie di rischio riscontrabili negli ipogei dipendono anche da quale utilizzo è stato fatto nel tempo della cavità stessa. Possiamo infatti pensare a una cisterna costruita per raccogliere acqua (quindi un ambiente con basse potenzialità di rischio) che nel corso del tempo, seguendo le nuove necessità urbanistiche, può ritrovarsi a far parte della rete fognaria (ambiente ad alto rischio). Tutto ciò ci obbliga a valutare sempre con molta attenzione i luoghi che andiamo ad esplorare e documentare.

In linea generale possiamo avere:

– modesti distacchi di materiale dalle strutture;

– crolli, ovvero cedimenti strutturali;

– scarsità o assenza d’ossigeno;

– presenza di sostanze venefiche o inquinanti o deflagranti;

– animali;

– attrezzatura inadeguata;

– scarsa osservanza delle misure di sicurezza.

  1. Cedimenti strutturali.

In linea di massima ogni ambiente sotterraneo è destinato nel tempo ad assestarsi naturalmente, oppure a seguito di fattori collaterali. Soprattutto cave e miniere abbandonate presentano zone interessate da cedimenti. Meno frequenti nelle coltivazioni antiche, in cui sono stati utilizzati per l’estrazione solo strumenti manuali (quindi senza l’impiego di esplosivi e scavi generalmente poco ampi, a seguire il filone), i crolli divengono più frequenti in quelle più recenti, dove abbiamo un mutamento del metodo di abbattimento e di coltivazione (utilizzo dell’esplosivo e scavi anche molto ampi).

Cunicoli e gallerie centinati con i tipici quadri in legno possono avere tali strutture marce, se non crollate. Anche eventuali spazi “ripienati” possono risultare instabili. In tratti allagati si possono incontrare dei pozzi sommersi, quindi difficilmente individuabili, e “sabbie mobili”. Le cisterne e i pozzi in disuso hanno talvolta il puteale, o la stessa canna, in condizioni statiche precarie. Per discendervi occorrerà innanzitutto montare all’esterno una struttura in tubi metallici a cui assicurare le corde, evitando così di sollecitare la struttura.

  1. Scarsità o mancanza d’ossigeno.

Può capitare che in talune cavità siano accidentalmente scivolate all’interno ramaglie o tronchi d’albero. Il legname marcescente “brucia” l’ossigeno e la carenza d’ossigeno la si può avvertire accusando spossatezza, rallentamento nei movimenti e la classica “fame d’aria”. Diversi anni fa un paio di persone andarono a periziare una villa abbandonata da tempo e messa in vendita. Scesi in cantina, la cui porta era chiusa, morirono per la mancanza d’ossigeno. Nel locale sotterraneo vi erano i ripiani in rovere, oramai deperiti, i quali avevano contribuito a bruciare l’ossigeno. In un tratto di miniera d’epoca moderna, situata nel Campigliese (Toscana), si riscontrò una mancanza d’ossigeno all’interno di un tratto di galleria di carreggio centinata con quadri lignei.

Uno speleologo rischiò di morire sul fondo di una cavità, in questo caso naturale, perché all’interno vi era legname in putrefazione. Accusò spossatezza inspiegabile e svenne: un amico se ne accorse in tempo e lo trascinò all’esterno, salvandolo.

In buona sostanza: comperatevi un bel rilevatore d’aria.

  1. Materiali esplosivi e residuati bellici.

Principalmente presso cave e miniere è possibile rinvenire esplosivi abbandonati, che non vanno in alcun caso toccati. Il tempo e l’umidità possono averli resi instabili, quindi altamente pericolosi. Si ricordi inoltre che nei fornelli di mina possono rimanere cariche inesplose. Lungo i fronti delle due guerre mondiali si possano ancora rinvenire ordigni inesplosi, sia all’interno che all’esterno delle opere di fortificazione dotate di ambienti sotterranei. Non si dimentichi che nel corso della Prima Guerra Mondiale vennero impiegati gli aggressivi chimici, come cloro, fosgene, acido cianidrico, palite, iprite, ecc. L’involucro delle granate chimiche è generalmente più sottile di quelle ordinarie: a causa del suo deterioramento può cedere e rilasciare l’aggressivo anche senza deflagrare. Pertanto, mai e in alcun caso rimuovere i residuati bellici, ma segnalarne tempestivamente la presenza ai Carabinieri.

Si suggerisce la lettura del libro di Donovan Webster, Le terre di Caino. Quel che resta della guerra, Ed. Corbaccio, Milano 1999.

  1. Gas.

Nelle cavità artificiali vi è la possibilità d’incontrare gas. Questi possono essersi sviluppati dalla putrefazione di animali morti, o a causa di rifiuti di vario genere occultati in opere sotterranee abbandonate. Oltre a questo, possono essere presenti quei gas che, naturalmente contenuti nel particolare terreno circostante, trovano nella via di drenaggio non naturale un più facile cammino, formando sacche dove può essere rischioso avventurarsi senza le dovute cautele. Casi purtroppo noti si riscontrano in miniere di carbone, dove non è raro che vi possano essere delle sacche di grisù.

I principali casi di presenza gassosa nelle opere ipogee sono imputabili ai seguenti fattori sottoriportati (Gibertini U., Gas in ipogeo: tipologie, valutazioni, rischi e prevenzione, in Padovan G. -a cura di-, Archeologia del sottosuolo. Lettura e studio delle cavità artificiali, British Archaeological Reports, International Series, S1416, Oxford 2005, pp. 265-276):

  1. Permeazione da terreni interessati da attività termale, vulcanica, pseudovulcanica o di particolare natura giacimentologica. A questo caso si può ascrivere la presenza di composti solforati e azotati per ciò che concerne l’attività termale o vulcanica. È possibile il rinvenimento di miscele composte da idrocarburi leggeri (sostanze derivanti dall’alterazione di strati organici sedimentati nelle profondità del terreno quali, ad esempio, il petrolio, ma con un minor peso molecolare e quindi gassose, come ad esempio metano, etano, propano, butano, etc.) nelle zone di importanza giacimentologica (miniere di carbone, siti petroliferi, etc.); oppure dove le rocce e i terreni circostanti l’ipogeo sono di natura reattiva, dove cioè i minerali presenti nel terreno tendono a reagire facilmente con sostanze che permeano all’interno, come ad esempio i minerali di zolfo.
  1. Ristagno di gas sviluppati da attività biologica (attività putrefattiva). Nel caso di gas derivanti da attività biologica di tipo putrefattivo è necessario pensare al consumo di ossigeno legato ai processi metabolici di molti microrganismi, quindi all’inevitabile instaurarsi di condizioni anaerobiche (assenza d’aria), con conseguente sviluppo di gas nella forma ridotta (nella composizione chimica della molecola di gas non è presente l’ossigeno, in quanto il gas si è formato in una situazione dove di ossigeno ce ne era molto poco o affatto). A tale proposito sono noti diversi casi di incidenti, anche mortali, ascrivibili alla presenza di tavolati, o sistemi di rinforzo delle volte, in legno oramai marcescente.
  1. Inquinamento da attività esterne con rilascio di sostanze tossiche. Il caso più frequente e più rischioso, quando si opera in aree antropizzate, è quello d’imbattersi in scarichi civili o industriali, a volte non segnalati ed abusivi.
  1. Infiltrazione derivante da perdite in tubazioni vicinali o invasive. Oltre al precedente caso, è possibile trovarsi di fronte all’utilizzo, o all’intercettazione, più o meno consapevole, di vecchi condotti fognari dismessi, o di qualsiasi altro ipogeo, da parte di recenti opere fognarie o di tubature del gas. A volte è sufficiente la posa di tali opere in zona adiacente, o comunque vicina alla cavità, per far sì che in caso di dispersione di liquami, o di fuga di gas, la cavità stessa funga da drenaggio raccogliendo il disperso, con le conseguenti modificazioni di atmosfera.

In generale, occorrerà ricordare che le opere ipogee possono essere state riutilizzate come pozzi neri, vasche di dispersione, fogne anche abusive, discariche di rifiuti anche tossici (generalmente in talune cave o miniere abbandonate), liquami e solventi. E varie sostanze possono determinare la formazione di gas o ridurre la presenza di ossigeno nell’aria, come ad esempio il legname marcescente. Come fonti di luce si suggerisce di utilizzare le lampade antideflagranti, oppure lampade stagne, come quelle subacquee. In ogni caso, è consigliabile non adoperare l’acetilene. La cosa migliore è poter avere sempre a portata di mano una apposita apparecchiatura per l’analisi dell’aria (Gibertini U., Gas in ipogeo: tipologie, valutazioni, rischi e prevenzione, in Padovan G. -a cura di-, Archeologia del sottosuolo. Lettura e studio delle cavità artificiali, British Archaeological Reports, International Series, S1416, Oxford 2005, pp. 265-276).

  1. Animali.

Tralasciando i comuni fattori di traumatologia legati genericamente all’attività fisica in ambienti “particolari”, si accenna il discorso sui rischi di tipo infettivo o tossico, dovuti al contatto diretto di germi o di animali portatori di infezioni o vettori di altri germi.

Per l’evidenza del rischio si tralasceranno gli argomenti inerenti i morsi di animali quali serpenti, cani randagi, volpi, oppure altri rettili come si possono trovare in zone tropicali; oppure ragni, scorpioni, insetti o altro, considerando tutte queste spiacevoli evenienze come facenti parte del rischio generico legato alla frequentazione di zone inusuali, spesso in ambienti selvatici. Non si trascurino, comunque, le precauzioni contro la rabbia e il morso delle comuni vipere. Gli spazi sotterranei ai centri abitati sono considerati (a ragione) i più malsani. Oltre a quanto si è potuto evincere, il principale inconveniente è determinato dall’eventuale presenza di ratti. In Europa ne sono diffuse due specie: il ratto nero (Rattus rattus) e il ratto delle chiaviche o surmolotto (Rattus norvegicus) e possono essere portatori di numerose malattie. In presenza di muffe, funghi o polveri, è bene indossare l’apposita mascherina di gomma provvista di filtri, sostituibili e specifici per i vari tipi d’impiego. Occorre ricordare che dopo le operazioni occorrerà sempre lavarsi con cura, disinfettare bene le ferite medicandole, pulire e disinfettare gli indumenti e le attrezzature (Bregani R., Malattie e prevenzione, in Padovan G. -a cura di-, Archeologia del sottosuolo. Lettura e studio delle cavità artificiali, British Archaeological Reports, International Series, S1416, Oxford 2005, pp. 277-283).

«Il rischio principale è quello legato al contatto con microrganismi patogeni. Il rischio di intossicazioni da parte di tossine prodotte da germi, può essere trattato genericamente insieme al rischio infettivo. Il rischio infettivo può essere suddiviso in due categorie, a seconda della modalità di contagio, e cioè:

– il contagio dovuto al contatto, all’ingestione o all’inalazione di acqua, aria o suolo contaminato, che chiameremo “contagio diretto”;

– il contagio dovuto a morso di animali (per lo più artropodi) portatori (o meglio “vettori”) di agenti infettivi, che chiameremo “contagio attraverso vettori”».

«Per la prima categoria di rischio è nota in ambito speleologico l’istoplasmosi, trasmessa dalle spore di un fungo che può nebulizzarsi e contaminare l’aria e l’acqua, ritrovandosi frequentemente nel suolo delle grotte e delle cavità artificiali, specialmente quando popolate da chirotteri o uccelli» (Bregani E. R., Istoplasmosi, in Società Speleologica Italiana, Speleologia, Rivista della Società Speleologica Italiana, n. 40, Città di Castello 1999, pp. 96-100. Bregani E. R., Tien T. V., Ceraldi T., Delfitto C., Figini G., Istoplasmosi: una malattia non solo tropicale. Recenti Progressi, in AA. VV., Medicina 2000; 91 (7-8), 2000, pp. 396-401).

Molto frequente, almeno per quanto concerne l’esplorazione delle cavità artificiali, è il rischio di infiltrazioni dalla rete fognaria, o da pozzi neri nelle località sprovviste di tale rete di smaltimento, oppure da allevamenti di animali. Da non sottovalutare, inoltre, è la leptospirosi, malattia grave e di difficile diagnosi, trasmessa da suoli e acque contaminate da urine infette di ratto.

Per la seconda categoria, l’attenzione si sposta a pulci, pidocchi, zecche, mosche e zanzare, ricordando che, specialmente nei paesi tropicali, il numero di infezioni trasmesse da artropodi (pidocchio, pappataccio, tafano, zecca, pulce del ratto, etc.) è considerevole.

Per quanto riguarda l’attività all’estero, particolarmente fuori Europa, è utile informarsi se nel paese in cui ci si sta recando, è in corso qualche epidemia. Utile, in questo senso, è il sito internet: http://www.port.venice.it/sanimav/epi.htm » (Bregani R., Malattie e prevenzione, in Padovan G. -a cura di-, Archeologia del sottosuolo. Lettura e studio delle cavità artificiali, British Archaeological Reports, International Series, S1416, Oxford 2005, pp. 277-283).

  1. L’attrezzatura.

Il maggiore rischio che deriva dall’utilizzo dell’attrezzatura speleologica e speleosubacquea è principalmente legato a due fattori:

– utilizzo della stessa senza l’acquisizione della necessaria padronanza;

– utilizzo di attrezzature generiche in modo improprio.

Si sconsigliano vivamente le operazioni in ambienti che richiedano l’impiego di altri tipi di attrezzatura, quali tute perfettamente stagne, maschere con appositi filtri per vapori organici, etc. Operare in un ambiente fortemente inquinato o con aria irrespirabile solo per farne un rilievo a semplice scopo di studio lo si ritiene un rischio superfluo, da non prendere nemmeno in considerazione. Si lascino tali operazioni a maestranze e a professionalità apposite e specifiche.

Tutti i materiali sono soggetti ad usura. L’essere erroneamente portati a supporre che l’attrezzatura speleologica utilizzata in cavità artificiali si usuri meno che in grotta, e quindi “duri di più”, non la rende senz’altro “eterna”. Idrocarburi, fanghi di cava o, peggio, di miniera, acque acide, e via dicendo, possono intaccare l’attrezzatura (soprattutto moschettoni, corda e longe) assai più velocemente di quanto non avvenga in ambienti carsici. Per quanto ci si sforzi ad ottenere degli ancoraggi adeguati e ad approntare degli armi corretti, troppo spesso nella realtà dei fatti i risultati sono lungi dall’essere accettabili e troppo spesso le corde vengono sollecitate contro spigoli vivi. Ciò comporta un rapidissimo deterioramento, nonché rotture interne dei trefoli e lacerazioni della calza.

Moschettoni e piastrine in acciaio durano più a lungo di quelli in alluminio e sono quindi da preferirsi anche per l’uso prettamente speleologico. Questo vuol dire che le corde, gli imbraghi, le longe, i moschettoni e quant’altro, vanno sostituiti con maggiore frequenza e comunque lavati e sempre controllati prima dell’utilizzo.

  1. Operazioni speleosubacquee.

La Speleologia Subacquea coniuga metodologie e attrezzature proprie delle due specializzazioni: speleologica e subacquea. Fermo restando che si dovrà essere provetti sommozzatori, si sottolinea l’importanza di seguire il corso di speleologia e quello di speleologia subacquea, prima di cimentarsi in cavità sommerse. Le operazioni speleosubacquee in cavità artificiali sono meno complesse e rischiose di quelle effettuabili nelle grotte (cavità naturali), salvo che possono risultare decisamente più “infide”. Non avremo grandi profondità né sviluppi chilometrici. Fanno eccezione alcune coltivazioni sotterranee (cave, miniere), poste magari su più livelli, rimaste sommerse a seguito della cessata attività estrattiva, quindi con la disattivazione dei sistemi di pompaggio per l’eduzione delle acque.

Gli incidenti mortali colgono gli speleosub più preparati e che noi consideriamo “bravi” ed “eccezionali”. Troppo spesso muoiono persone che si definiscono “speleosub” per il semplice fatto di avere un’attrezzatura che richiama tale disciplina: muoiono alla prima difficoltà, o al primo imprevisto, senza riuscire a farne fronte. Purtroppo mettono a repentaglio la vita di chi si deve occupare di andarne a recuperare il cadavere.

Tempo addietro si è concluso il lavoro presso un complesso di cave sotterranee situate nel Comune di Olgiate Molgora (LC), scavato a partire dagli inizi del XX secolo. Si tratta delle miniere Pelucchi, Cepera e Valicelli. Le indagini sono state condotte dal Gruppo Sommozzatori di Almè (Bergamo): «Per l’esplorazione e il relativo lavoro di rilievo, sino ad oggi sono stati impiegati molti metri di filo per sagolare le varie gallerie: in particolare, sono stati svolti più di tre chilometri di sagola. Inoltre sono state trascorse complessivamente oltre settecento ore di immersione, con un consumo di 2.000.000 di litri di aria e 150.000 litri di ossigeno puro per le fasi di decompressione» (Bertulessi M., Rota L., Note sul lavoro di ricerca e rilievo, in Brusetti L., Cogliati M., Gruppo Sommozzatori Almè (BG) -a cura di-, Labirinti sommersi. La cementeria del Fabbricone e le gallerie Pelucchi, Comune di Olgiate Molgora, Pagine di storia n. 3, Olgiate Molgora 2005, p. 52).

Nelle zone sommerse gli speleosub si sono spinti fino a -64 m dalla superficie dell’acqua (Bertulessi M., Brusetti L., Cogliati M., Penati M., Rota L., Il labirinto del Minotauro: cave di marne a Olgiate Molgora, in Basilico R. et alii -a cura di-, Atti I Congresso Nazionale di Archeologia del Sottosuolo: Bolsena 8-11 Dicembre 2005. Archeologia del Sottosuolo: Metodologie a Confronto, Vol. 2, British Archaeological Reports, International Series 1611, Oxford 2007, pp. 819-832).

Come già accennato, si dovrà tenere conto che le acque possono essere inquinate. Inutile ripetere che occorrerebbe farle analizzare preventivamente. Più di una volta si è rinunciato alle operazioni perché sull’acqua galleggiavano carogne di piccoli animali, tra cui topi, ratti, serpenti. In ogni caso, si suggerisce sempre l’utilizzo di mute stagne. Ma è bene rammentare che la regola d’oro è di non togliersi mai l’erogatore di bocca, a maggior ragione negli ambienti posti al di là di un sifone. Nell’articolo di Samorè “Analisi d’incidenti mortali a speleosub e loro prevenzioni” si riporta: «Due respirano esalazioni di anidride solforosa dovuta a depositi di lignite in una grotta-miniera abbandonata, appena passato il sifone; il terzo si accorge del fatto e rimette l’erogatore agli altri ed esce a cercare soccorsi; inutilmente» (Samorè T., Analisi di incidenti mortali a speleosub e loro prevenzioni, in C.A.I. Lecco, Atti del IX Convegno di Speleologia Lombarda -Lecco, 8-9 dicembre 1979-, Lecco 1979, pp. 63-64).

In ogni caso si segnala un libro utile sulla Speleologia Subacquea:

Casati Luigi, Manuale di Speleologia Subacquea, Editoriale Olimpia, Sesto Fiorentino (Firenze) 2007.

 

In conclusione: se volete godere appieno del tempo terrestre e delle cavità naturali e artificiali che desiderate esplorare… MAI RISCHIARE!

Gianluca Padovan (Associazione Speleologia Cavità Artificiali Milano – Federazione Nazionale Cavità Artificiali)

 

Esplorazione delle Gore di Follonica (Toscana) (ph. G. Padovan)

 

Esplorazione-e-rilievo-del-pozzo-di-Moncrivello-Vercelli-profondo-854-m-ph.-G.-Padovan.jpg

 

Miniera del Frigido (Toscana), cantieri sommersi (ph. G. Padovan)