L’acquedotto “dei Piceni” a Camerano (parte seconda)

Dicembre 16, 2020 Off Di Archeologia del sottosuolo

Si è già parlato del Buco del Diavolo identificandolo come l’accesso laterale allo specus di un acquedotto, che è stato denominato “Acquedotto dei Piceni” a ricordo delle genti che abitavano il territorio prima dell’arrivo delle legioni di Roma.

Nel marzo del 2000, su invito di Alberto Recanatini e Marco Campagnoli, ci si è recati al “Buco del Diavolo” per effettuare il rilievo planimetrico e lo studio del tratto d’acquedotto praticabile.

Le operazioni sono state dirette da Gianluca Padovan (Ass.ne SCAM) con gli speleologi d’altri gruppi: Marco Campagnoli, Alessandra Casini, Alberto Recanatini, e la collaborazione di Gianni Ceri, Mariano Galliani, Italo Riera e Simone Sieni.

Ecco uno stralcio della relazione: «Le dimensioni medie del cunicolo – che ha una sezione avvicinabile al rettangolo sormontato da un semicerchio presenta numerose nicchie per lucerna – sono all’incirca di m. 1,60 di altezza per 0,60 di larghezza; esso risulta a tratti scavato direttamente nella roccia e non rivestito o rivestito solamente sul cielo (con embrici affrontati alla “cappuccina”), a tratti foderato in calcestruzzo (opus caementicium). Nel tratto conservato si aprivano alcuni putei, successivamente sigillati o, comunque, occlusi» (Casini A., Padovan G., Recanatini A., Riera I., Il Buco del Diavolo di Camerano (Ancona), in C.A.T., Atti del V Convegno Nazionale sulle Cavità Artificiali, Trieste 2002, p. 194).

Si possono inoltre riportare alcune osservazioni in merito all’inquadramento in un orizzonte cronologico di questo tratto d’acquedotto ipogeo: «Se l’oggetto del “contendere” (ammesso che ci sia “contesa”) è l’attribuzione cronologica dell’infrastruttura ad età preromana piuttosto che romana, attribuzione quest’ultima per cui noi si propende, non apparirà certo decisivo il fatto che le misure medie – e il concetto di “medietà” è sempre pericoloso passando da un sistema metrico noto ad uno sconosciuto – siano agevolmente riconducibili a misure romane piene, cioè a pedes 5.5 di altezza per 2 di larghezza; questo può essere semmai un dato interessante, non probante: anche i fossores adottavano gli stessi criteri esposti più sopra. Il dato decisivo può provenire invece da considerazioni di tipo diverso, in un certo senso tutte “esterne” al manufatto» (Ibidem, p. 189).