ARCHEOLOGIA MINERARIA: note metodologiche. Seconda parte

Dicembre 21, 2020 Off Di Archeologia del sottosuolo
  1. Lo sfruttamento delle risorse: cave e miniere

Si distinguono due tipi di opere estrattive: cava e miniera.

Con il primo termine s’indicano le coltivazioni di rocce incoerenti e coerenti, con il secondo quello di minerali utili. Nel tempo si riscontra l’evoluzione dei sistemi di ricerca, di abbattimento e di trasporto della roccia e del minerale, unitamente ai sistemi d’illuminazione, di eduzione delle acque, di ventilazione, etc.

Occorre sottolineare che, allo stato attuale delle ricerche, dalle coltivazioni neolitiche dei filoni selciferi a tutto il periodo medievale, i sistemi di estrazione non vedano (in linea generale) grandi evoluzioni; vi è più uno sviluppo del materiale che costituisce gli attrezzi per l’abbattimento e il trasporto che l’organizzazione razionale del lavoro. Nell’arco di pochi secoli abbiamo poi l’impiego, in rapida successione e costantemente in evoluzione, di una strumentaria efficace, della polvere nera, dell’energia elettrica, delle macchine perforatrici a vapore, della nitroglicerina, del filo elicoidale (nelle cave), della dinamite e dei motori a scoppio. In particolare, la progressiva introduzione di materiali esplodenti, largamente utilizzati nelle miniere, determina dal XVII sec. la modifica dei sistemi di avanzamento.

In ogni caso occorre tenere conto che in ambito minerario l’impiego di mine può essere stato applicato anche in precedenza e non solamente nel continente europeo, ma non ne è rimasta menzione o tale menzione deve ancora ‘sorgere’ dagli archivi.

Ad ogni buon conto così ci istruisce Vergani: «Si è già anticipato in precedenza come l’impiego delle mine nelle miniere metallifere costituisca, sotto l’aspetto quantitativo, il più importante degli usi civili della polvere nera nei secoli XVII e XVIII. Ma prima di entrare nel vivo del nostro tema è bene sgombrare il campo da un paio di leggende prive di fondamento che ancora circolano in materia, e che riguardano il presunto utilizzo della polvere da sparo l’una nelle miniere di Rammelsberg, nel Harz, durante il secolo XII, l’altra nelle miniere d’oro della Transilvania verso il 1395-96. Nel primo caso si è fatta chiaramente confusione con l’antica tecnica del lavoro a fuoco, molto praticata nel Harz fin dalle origini dell’attività mineraria in quella regione. Quanto al secondo, si tratta di un equivoco nato a suo tempo dalla lettura di un testo francese ottocentesco dove si parla in realtà non di mines ‘miniere’ ma di mines ‘gallerie sotterranee scavate a fini militari’; la notizia, infarcita di qualche fantasia, è poi passata nella letteratura tecnica rumena dove si trova ripetuta acriticamente fini ai giorni nostri. In realtà, come abbiamo già dimostrato, la prima esperienza di uso della polvere nera nelle miniere metallifere è quella di Giovanni Battista Martinengo, a partire dal 1574, nei monti di Schio. Ma ancor più importante, ci sembra, è che nella documentazione che la riguarda appaia la prima sia pur concisa, ma netta e incontrovertibile, descrizione dell’aspetto specifico della nuova tecnica, il foro da mina (böhren und schiessen, boring and shooting, drilling and shooting): il Martinengo, scrive vent’anni dopo Filippo de Zorzi, funzionario minerario della Repubblica di Venezia, “facendo un piciol foro nel sasso della montagna con la polvere dell’artigliaria voleva aprire per forza, et spezzare il monte, et così discoprire quello che là dentro vi si stava nascosto”. Per avere una testimonianza altrettanto vivida e diretta del foro da mina e della sua utilizzazione in miniera bisogna aspettare quasi settant’anni, quando, nel 1643, Caspar Morgenstern si sposta dal Harz a Freiberg in Sassonia, per darne una dimostrazione pratica» [Vergani c.s., pp. 7-8].

Per quanto riguarda, invece, la situazione nelle cave: «Benché nella letteratura tecnica antica si affermi che l’uso della polvere nera nelle cave di pietra risalirebbe a ben prima, le nostre ricerche non hanno portato alla scoperta di testimonianze anteriori al XVII secolo. La più antica data al 1621, quando una cronaca della cittadina di Bautzen in Sassonia narra con una certa ricchezza di particolari (le dimensioni della camera e il peso della carica, pari, quest’ultimo, a 11-12 libbre di esplosivo) l’uso di una mina nella cava locale; precisando tuttavia subito dopo che l’esperimento si è rivelato poco conveniente in considerazione delle alte spese in polvere nera (H.W. Wind, Die Entwicklung des Zündens von Schwarzpulververladungen von den Anfängen bis zur Erfindung der brisanten Sprengstoffe, in Bergbau. Zeitschrift für Bergbau und Energiewirtschaft, 46, 1995, p. 459)» [Vergani c.s., p. 5].

Gli ultimi decenni del XX secolo vedono una ancor più rapida evoluzione, con l’introduzione di moderni macchinari automatici: il martello perforatore ad aria compressa diventa un oggetto da museo. Questo è vero nella gran parte dei casi, ma non in tutti. Si tenga presente che in talune miniere ancora in attività nella seconda metà del XX sec. si adoperavano (e si adoperano) prevalentemente (o esclusivamente) strumenti manuali per l’abbattimento e il trasporto a causa delle ristrette condizioni economiche. Oggi in Europa la gran parte delle miniere è chiusa, preferendo importare le materie prime da altri continenti. Soluzione dettata dagli alti costi della manodopera e dal mantenimento degli impianti, più che dall’esaurimento dei giacimenti.

Ecco un rapporto della Regione Lombardia: «Le attività estrattive rappresentano uno dei più importanti interventi di modifica definitiva e rilevante dell’ambiente e dell’assetto urbanistico territoriale, anche in aree di alto valore naturalistico. Lo stretto e delicato rapporto tra problematiche economico-occupazionali e l’esigenza di tutela del territorio, nonché la caratteristica dei giacimenti quale risorsa naturale non rinnovabile, determina l’assoluta necessità di governare la materia attraverso adeguati strumenti normativi, di pianificazione, autorizzativi e di controllo» [AA.VV. 2003, p. 163]; (consultare utilmente il sito: www.arpalombardia.it).

Le coltivazioni possono avvenire sia a cielo aperto sia nel sottosuolo, anche utilizzando contemporaneamente entrambi i sistemi. Non di rado vi sono cave e miniere a giorno che evolvono in sotterraneo; in tempi recenti le scelte sono dettate anche dall’impatto ambientale che altrimenti si causa. La natura e la giacitura di ciò che s’intende estrarre, la sua dislocazione, l’organizzazione dei cantieri e il sistema con cui si procede all’estrazione, determina il metodo di coltivazione. Le “coltivazioni a giorno” si distinguono a seconda della loro collocazione [Padovan 2005, pp. 12-16].

Tralasciando le coltivazioni in falda abbiamo “coltivazioni di pianura” e “coltivazioni di monte” (pedemontane, a mezza costa, culminali), suddivise tra “coltivazioni di materiali incoerenti” e “coltivazioni di materiali coerenti”, quest’ultima a sua volta suddivisa a seconda che si voglia una forma regolare o irregolare del prodotto [Gerbella 1948, pp. 1-3. Frare 1996, pp. 29-62].

In Italia le miniere sono del patrimonio pubblico indisponibile dello stato o delle regioni; lo sfruttamento può essere affidato a privati tramite concessioni amministrative.

Le cave e le torbiere possono essere invece lasciate alla libera disponibilità del proprietario del fondo, con la condizione che vengano sfruttate in osservanza delle leggi vigenti [Nesti 2005, pp. 319-336].

Per definizione giuridica è considerato “miniera” anche il giacimento di acque termali e minerali.